All’età di 11 anni ho vinto un
premio per la giornata del fanciullo, promossa dalll’ ONU.
Disegnai una madre con in braccio un bambino, entrambi accolti
dalle lunghe braccia della città di Roma con la scritta: “Roma
aiuta la donna lavoratrice”. Dopo molti anni, oggi, mi sembra di
ripartire proprio da quella idea forte, per cui il Comune di
Roma deve avere cura delle donne, siano esse bambine,
adolescenti, madri o anziane. La città ha la sua forza
nell’amore, nella libertà e nel coraggio delle donne. Partire da
qui, far tesoro di queste esperienze, significa fondare una
società su basi solide. La salute delle donne non è solo una
questione che riguarda il loro corpo, ma la qualità della vita e
la possibilità o meno di vivere con partecipazione e serenità
l’ambiente urbano. Roma è una città ricca di esperienze
associative. La relazione e la comunicazione con queste già di
per sé permetterebbe di offrire al cittadino molte delle
prestazioni, dell’ assistenza e del sostegno di cui necessita.
Ma non basta, occorre tornare a
considerare
i consultori
i luoghi deputati all’incontro tra donne, uomini, servizi e
territorio. Oggi, a Roma esiste un consultorio ogni 140.000 ab.
Diminuire il rapporto (le normative auspicano 1/20.000 ab) è un
obiettivo non quantitativo, ma qualitativo. Inoltre, provvedere
al decoro di queste strutture significa qualificare il servizio
pubblico e renderlo appetibile a tutte le classi sociali. Si
accresce così il bacino di utenza e si perfeziona l’efficacia di
politiche sanitarie pubbliche volte alla prevenzione.
Per aiutare un bambino a
crescere bene e la costruzione di una nuova famiglia, occorre
stare al fianco della donna, divenuta madre. Da qui l’idea di
adottare una madre.
Questo progetto consiste nell’aiutare con una disponibilità di
tempo una donna neomamma. Penso alle donne sole, italiane o
straniere o che non abbiano una famiglia vicina di riferimento o
che non possano raggiungere facilmente una struttura
consultoriale adeguata. Un aiuto concreto, di tempo e servizi
dedicato per le faccende di casa o per seguire la donna che si
occupa del bambino. Questa catena di solidarietà è importante
per evitare situazioni di disagio sociale e psicologico e
prevenire la depressione post-partum. Esistono associazioni
esperte sul territorio, ma potrebbero essere coinvolte anche le
mamme veterane, sia per la fase dell’allattamento,che del
puerperio. Oltre alla solidarietà, occorre creare
reti di sicurezza per
la famiglia.
Il Comune di Roma deve garantire l’affidabilità e la formazione
di nuove figure professionali, che entrano nelle case dei
cittadini, dalle baby sitter alle badanti Oltre agli asili nido,
soprattutto quelli nei posti di lavoro, l’opportunità di
personale specializzato di cui la donna possa avere fiducia
quando apre la porta di casa. Questa esperienza è già partita in
alcuni municipi sarebbe opportuno renderla più omogenea ed
organica sul territorio della città.
Ma esiste anche un ragionamento
giuridico che non torna. La donna che non lavora non ha accesso
agli asili nido comunali e magari non può cercare lavoro perché
non sa a chi lasciare il bambino. Occorre interrompere questo
cerchio. E se la donna non è madre quale sostegno le offre la
città, magari sola e anziana? Il punto è che le normative spesso
procedono per categorie di valore, attribuito ad un parametro
socio-economico (lavoro, reddito). Il salto di qualità, a mio
avviso, potrebbe essere proprio quello di
umanizzare la
vita del cittadino, donna
o uomo che sia, a Roma, nella sua quotidianità e non solo
nell’emergenza.
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